Sophie Auster torna con “Look What You’re Doing To Me”

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Dopo il suo terzo album in studio, Sophie Auster torna sulla scena musicale con un nuovissimo singolo “Look What You’re Doing To Me”, un’anticipazione del nuovo disco  “Milk for Ulcers” che uscirà nel 2025. «“Look What You’re Doing To Me” è una canzone d’amore dedicata a mio marito Spencer. Parla dei primi giorni della nostra relazione e l’eccitazione che inevitabilmente deriva dall’innamoramento. La frase “you’re like the falling snow/changin the world I know” è stata ispirata da una bellissima lettera che un fan ha inviato a mio Papà in occasione dell’uscita del suo ultimo libro “Baumgartner”. Descriveva la lettura del libro di mio Padre come un cambiamento del mondo intorno a lui – comparandolo ad un paesaggio famigliare che improvvisamente viene ricoperto dalla neve. Penso che innamorarsi sia la stessa cosa.» spiega Sophie.

La canzone cattura le emozioni fluttuanti di una nuova relazione che sta fiorendo, miscelando  arrangiamenti pop-folk orecchiabili e spensierati che attraggono all’istante. “Look What You’re Doing To Me” è accompagnata da un videoclip molto personale: un collage di filmati che vedono Sophie e Spencerprotagonisti nel corso dei 7 anni della loro relazione. Si tratta di una raccolta di video girati con un iphone, di dietro le quinte di un servizio fotografico a cui hanno lavorato insieme, di momenti del loro matrimonio e della festa di compleanno di Sophie nel 2021. “Per me era importante che il video del primo singolo fosse intimo e sincero, dal momento che si tratta della presentazione al disco di prossima uscita che è molto personale” spiega Sophie. In un mondo in cui Intelligenza Artificiale, emozioni preconfezionate e una capacità di concentrazione di trenta secondi la fanno da padroni, Sophie Auster è una cantautrice la cui musica offre ai suoi ascoltatori un’alternativa a tutto questo, un mondo differente.
Le sue canzoni parlando di perdite, di tristezza, di rabbia, di eventi che non possiamo controllare, di emozioni che le persone condividono e alle quali – con fatica – trovano un senso, nonostante il rumore assordante della cultura dei media che fabbrica solitudine, non comunione.